Il Ciabattino

Nel cuore d’un borgo dove il tempo si arresta,
e l’eco dei passi si perde tra muri di pietra,
lento risuona l’antico martello,
a ritmo sommesso, simile a un battito d’uomo.

Siede il ciabattino, chino sul legno consunto,
la fronte solcata dal peso di stagioni,
gli occhi, due fessure, guardano il mondo
attraverso cuciture che stringono scarpe e memorie.

Omero d’umili vite, racconta coi fili,
cucendo la pelle con gesti antichi,
suole stanche tornano a sfiorare la terra,
rinvigorite dal sudore e dal sapere di mani.

È maestro silente, che non conosce clamore,
artigiano d’equilibri tra nuovo e disfatto;
tra gli arnesi raccolti, l’odore di cuoio,
respira la storia d’un mestiere che muore.

«Oh viandante, fermati e guarda,
tu che sol calzi e non pensi al creatore!
Queste mani han reso le tue orme leggere,
come l’ombra che sfiora il cammino del sole.»

E così nel tempo che incede, obliato,
il ciabattino resta, ultimo poeta di scarpe,
a narrare col silenzio la dignità del lavoro,
un’arte ormai fragile, consumata dai giorni.

Così, quando il borgo si spoglia di luci,
e l’incedere umano diventa sussurro,
resta il suo banco, con chiodi e pellami,
trono modesto d’un re senza gloria,
mentre il mondo, distratto, passa oltre
senza mai più fermarsi a guardare.

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